(di Alessia Cerantola per Il Fatto Quotidiano) Il ruolo del giornalismo come cane da guardia della democrazia è sempre più debole in Giappone. Nella notte dello scorso 6 dicembre, nonostante decine di migliaia di persone che protestavano per le strade e il supporto del solo 25 percento della popolazione, il partito liberaldemocratico di Shinzo Abe ha approvato in tutta fretta la nuova legge sul segreto di Stato. Ciò che la rende particolarmente forte e potenzialmente pericolosa per la democrazia del paese sono i suoi contorni poco definiti. Di fatto sono state ampliate due categorie di una norma del 2001: quella che definisce le informazioni confidenziali, che ora vanno dalla difesa alla diplomazia a tutto ciò che vagamente potrebbe favorire il terrorismo e lo spionaggio. E la lista delle entità governative che possono stabilire quali informazioni sono segrete. Mentre finora questo potere era riservato solo al ministero della Difesa, adesso è esteso a qualunque burocrate, o ex-burocrate, fino alla più piccola agenzia di Stato del paese. Quali siano le informazioni classificate come “segrete” non è ancora del tutto chiaro, ma quello che tutti temono è che questa legge aumenti notevolmente il potere del governo e che renda più facile portare avanti riforme senza consultarsi con legislatori o con gli stessi cittadini. Oltre alla libertà di stampa, si mette quindi in pericolo un diritto fondamentale come la sovranità del popolo, riporta il Japan Times.
Per chiunque voglia chiedere determinate informazioni sul governo, il già difficile obiettivo di ottenerle dalla pubblica amministrazione giapponese, diventerà una missione impossibile. E la tendenza dei media giapponesi ad auto censurarsi preventivamente per evitare di scontrarsi con i poteri forti, rischia di rafforzarsi. Così, si teme che molte testate decidano di non indagare o pubblicare informazioni che potrebbero essere confidenziali, anche senza accertarsi se sia effettivamente vietato. Giornalisti e informatori che ricorrano a pratiche giornalistiche “altamente inappropriate” diffondendo informazioni riservate rischiano fino a dieci anni di prigione, anziché cinque come prima. La legge è stata fatta passare come uno strumento per contrastare il terrorismo, un concetto espresso in modo molto ambiguo. Anche le informazioni che riguardano il nucleare potrebbero essere potenzialmente usate per scopi terroristici, per questo potrebbero considerarsi informazioni segrete. Il forte sospetto è però che questa mossa serva proprio per ostacolare, tra le altre, le indagini sul disastro di Fukushima. Ma anche il pensiero allo scandalo Nsa ha favorito l’approvazione delle nuove misure, fortemente caldeggiate dagli Stati Uniti. Il giornalista freelance giapponese Tomohiko Suzuki si chiede in un’intervista con il Mainichi Shimbun che cosa sarebbe successo se la legge fosse stata in vigore dopo l’incidente del marzo 2011. Nel luglio dello stesso anno Suzuki si infiltrò tra i lavoratori dell’impianto nucleare lavorando per un mese con loro. Ne uscì con un servizio su quanto fosse dura la vita di chi opera nella centrale e su come la criminalità organizzata gestisse l’assunzione dei lavoratori. Prima di essere assunto per lavorare nella centrale di Fukushima numero uno, aveva firmato un documento, garantendo che non avrebbe fatto trapelare alcuna informazione dall’interno. Era invece suo obiettivo principale. Se allora la possibilità di una condanna era minima, con la legge appena approvata chissà se avrebbe corso questo rischio. Il Giappone è un paese che non si distingue per il giornalismo d’inchiesta e la trasparenza delle istituzioni, ed è al 53esimo posto per la libertà di stampa nella classifica del 2013 di Reporter senza frontiere. Per i giornalisti giapponesi, soprattutto freelance e indipendenti, si profilano battaglie sempre più dure per un’informazione al servizio dei cittadini.
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