Alessia Cerantola è una giornalista italiana che sta effettuando un giro per gli Stati Uniti dove visita molte organizzazioni giornalistiche. Nei giorni scorsi è stata al Poynter Institute, in Florida, una vera e propria istituzione tra i centri che riflettono intorno al presente e al futuro di questo mestiere. Ce lo racconta in questoguest post, del quale la ringraziamo. La prima cosa che mi fanno vedere quando arrivo al Poynter Institute in Florida, scuola non profit e uno dei più importanti centri di giornalismo degli Stati Uniti, è una testa di pollo pupazzo in una teca di vetro. Nel 1976 James Naughton, all’epoca corrispondente da Washington del New York Times, stava partecipando a una conferenza stampa con il presidente Ford. Deciso a farsi ascoltare a ogni costo si infilò la testa per attirare l’attenzione e fece la sua domanda per il giornale. “Il giornalismo è anche divertimento, non bisogna prendersi troppo sul serio”, mi spiega il bibliotecario, un uomo sulla cinquantina che da anni lavora nella scuola. Più tardi, dal 1996 al 2003Naughton è stato il presidente dell’Istituto, e ha portato avanti con successo l’obiettivo della scuola: l’indipendenza del giornalismo. È con questo stesso scopo che anni prima Nelson Poynter, fondatore dell’istituto, ha ceduto alla scuola la casa editrice che pubblicava il Tampa Bay Times. Lo stesso che proprio qualche giorno fa ha portato due giornalisti a vincere il Premio Pulitzer e un’altra a essere finalista con un pezzo d’inchiesta. La notizia è stata accolta con soddisfazione e sobrio entusiasmo nella scuola Il principale strumento con il quale l’istituto cerca di promuovere l’eccellenza del giornalismo è News U, l’università lanciata nel 2005 in collaborazione con la Knight Foundation. Si organizzano corsi, seminari webinar per blogger, freelancer e studenti nella sede di St. Petersburg, ma soprattutto online. Di recente la scuola offre corsi personalizzati per aziende che intendono rafforzare la propria sezione multimediale. Tra i nuovi clienti, mi spiegano, adesso c’è anche l’esercito. Nei corridoi dell’edificio affacciato sulla baia di Tampa, di fronte all’università della Florida del Sud, si scorgono ricercatori e giornalisti all’opera. Ellyn Angelotti, avvocato ed esperta di social media, sta lavorando a un nuovo corso online sulmedia legacy che sarà presentato nei prossimi mesi. Sara Quinn, che insegna Giornalismo visivo, sta lavorando ai dati raccolti durante un laboratorio di eye tracking per capire come i lettori interagiscono ai diversi formati dei giornali online nelle versioni per i tablet. Intanto dal suo studio tappezzato d’immagini Kenneth F.Irby, fondatore del programma di Fotogiornalismo, è impegnato a verificare alcune foto scattate durante la tragedia di Boston e mi spiega come con ritocchi e tagli si possa “mentire con le immagini”. Il lavoro di questi esperti viene inserito periodicamente negli archivi della biblioteca dell’Istituto o quotidianamente nel sito del Poynter. Ad aggiornarlo è un gruppo di tre-quattro redattori, guidati da Mallary Tenore, responsabile del contenuto e degli aggiornamenti del sito. Con una media di sei post al giorno e contributi da tutti il mondo, la piattaforma è una risorsa fondamentale per tutti coloro che si occupano di comunicazione. Poco prima di lasciare il centro durante la mia breve settimana di visita Roy Peter Clark, vice presidente del Poynter, mi invita nella sala d’ingresso dell’Istituto e inizia a suonare un vecchio pianoforte. Mi spiega che spesso usa gli strumenti musicali per insegnare il ritmo di un articolo. “Il giornalismo è come la musica, non trovi?”. Dal blog: Giornalismo d'altri.
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(di Alessia Cerantola per Il Fatto Quotidiano) Fino a poche settimane fa i toni sempre più minacciosi della Corea del Nord non venivano presi in grande considerazione da Washington. Ma gli ultimi avvertimenti del nuovo leader Kim Jong-un, appena trentenne, con video che mostrano simulazioni di attacchi verso il Paese e la proclamazione dello stato di guerra, fanno pensare a qualcosa di più di semplice propaganda. Le autorità statunitensi continuano a ripetere di volersi concentrare su quello che Pyongyang sta realmente facendo, più che su quello che sta dicendo. Ma già l’invio qualche giorno fa di due bombardieri B-2 invisibili ai radar dal Missouri all’isola sudcoreana di Jik-do per una missione dimostrativa, fa capire che il pericolo non viene sottovalutato. Anche in Corea del Sud i media cominciano in questi giorni a considerare in modo più serio le mosse del Nord e si riportano testimonianze anonime di ufficiali che parlano di piani per “attacchi chirurgici” in caso di provocazioni. Ellen Kim si occupa dei rapporti tra gli Stati Uniti e le due Coree al Centro di studi strategici e internazionali (Csis) di Washington, dove in questo momento si sta concentrando su quanto succede a nord del 38esimo parallelo. |
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August 2023
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